venerdì 30 gennaio 2015

RESILIENCE - L'ARTE DI RESISTERE AI COLPI

Gli americani la chiamano “resilience”, ovvero resistenza ai colpi. È la capacità di recupero che permette alle persone di rialzarsi anche nelle situazioni più drammatiche. 

Mi sono imbattuta in questo articolo scritto dalla giornalista Stefania Medetti su d-repubblica.it che onestamente consiglio di leggere a tutti in maniera integrale. 


Io qui mi permetto di fare una sintesi, sperando di non omettere cose troppo importanti.

Ovviamente ci si chiede dove nasca questa capacità di resistere ai colpi che la vita ti presenta, e la risposta viene data dal professore di psichiatria e neuroscienze Dott. Dennis S. Charney e dal suo collega Dott. Steven M. Southwick i quali sostengono, dopo ventennali interviste fatte a vittime di qualsiasi tipo (prigionieri, sopravvissuti a disastri naturali, etc), che l’elasticità nei confronti delle situazioni drammatiche e traumatiche è un prodotto complesso che unisce fattori genetici, psicologici, biologici, sociali e morali.
 Ma la buona notizia è che  “Tutti possediamo la capacità di affrontare le difficoltà” e che il segreto è dentro di noi.
Sempre secondo la ricerca dei due Doc citati qui sopra, in comune, le persone che hanno dimostrato elasticità nei confronti delle difficoltà hanno alcune caratteristiche. 
La prima è un ottimismo radicato nella realtà. Alcuni, infatti, vedono naturalmente il bicchiere mezzo pieno”.  
La seconda caratteristica riguarda l’esistenza di modelli: “Tendenzialmente, le persone che trionfano sulle difficoltà hanno qualcuno a cui ispirarsi”. 
La terza variabile è rappresentata da una convinzione, un credo morale o religioso che, di fronte a qualsiasi difficoltà, permette di dare un senso alla propria esperienza, senza sentirsi vittime. 
Ma nel conto entrano anche la capacità di affrontare le proprie paure, la possibilità di contare sugli altri e la determinazione ad accettare il proprio destino per andare avanti.
 
Sempre nell' articolo della giornalista Medetti, viene affrontato l'argomento de "l'importanza del training". che riporto più o meno integralmente proprio per far recepire bene il messaggio.
 
L’importanza del training 
Esporre le persone a situazioni difficili è un modo per insegnare come gestirle. Anche l’educazione, dunque, gioca un ruolo importante: “Se cresci in un ambiente privo di stress, non sei preparato ad affrontare le difficoltà che, inevitabilmente, la vita presenta”. A questo proposito, il ruolo della famiglia e degli educatori è determinante: "mentre circondiamo i nostri figli di amore, dobbiamo aiutarli a uscire dalla loro 'comfort zone', metterli davanti a delle sfide che possono gestire per costruire una 'cassetta psicologica degli attrezzi' che gli sarà utile per tutta la vita” .... “Possiamo affrontare quasi qualsiasi cosa e uscirne più forti, ma non bisogna mai arrendersi. Alla fine, ci stupiremo delle risorse che abbiamo dentro di noi”.

E poi la giornalista, che già adoro, elenca  "cinque idee per allenarsi a resistere alle avversità".

1. Datevi uno scopo
Identificate quello che volete raggiungere nella vita, tenendo conto di quali siano i vostri punti di forza. Questa consapevolezza sarà sempre utile, perché porta alla luce le risorse che potrete sfoderare quando le cose diventano difficili. “I vostri talenti, infatti, sono quelli a cui vi appellerete per farvi da guida”, afferma Charney.

2. Affrontate le vostre paure
“Le persone coraggiose non sono persone senza paura, ma che hanno scelto di superarla attraverso l’azione”, sottolinea l’esperto. Anche nella quotidianità, affrontare le proprie paure contribuisce ad aumentare l'autostima e dunque a essere più resistenti nei confronti delle difficoltà.

3. Costruite una rete sociale
Poche persone possono attraversare le difficoltà da sole, per questa ragione è determinante avere una rete di amici e di familiari su cui poter contare nei momenti difficili. 

4. Allenate il vostro corpo
L’esercizio fisico non è solo un modo per insegnare al proprio corpo a essere attivo, a non arrendersi, ma aiuta anche a rafforzare la propria volontà nel raggiungimento di un obiettivo, senza contare i relativi benefici sul fronte della produzione delle endorfine.

5. Adottate o sviluppate un sistema di valori
I valori che non possono essere sradicati forniscono protezione nei momenti di difficoltà. “Inoltre, possedere dei punti cardinali a cui fare riferimento nei momenti più duri è un aiuto per riconsiderare a posteriori quello che è successo, accettarlo e andare avanti”, conclude Charney.

Che dire guerriere, 
questa arte l'abbiamo tutte.... e si chiama RESILIENCE.
Quindi non prendiamo scuse.
Dobbiamo solo volerlo.

Un bacio a tutte.
 Laura 

lunedì 26 gennaio 2015

GRAZIE GRAZIE E ANCORA GRAZIE

Questo post è tutto per voi. 

Voglio solo dirvi


 Perchè quando ho deciso di aprire questo blog, mi sono chiesta se potesse davvero essere d'aiuto a qualcuno.


Per i messaggi che sono arrivati in privato. 
Mi piacerebbe mettere nome e cognome di ognuno di voi, perchè vi ho tutte in mente, ma trattandosi di malattia, vorrei evitare e lasciarvi nell'anonimato.


Perchè mi avete fatto capire che questo blog sta aiutando tante persone a sentirsi meno sole... 

Per avermi fatto compagnia.


Insomma semplicemente
Un bacio a tutte.
Laura

domenica 25 gennaio 2015

L'attimo appena prima

L'attimo appena prima di avere l'esito di una visita o di un esame che stai facendo di controllo, è eterno.
Non ti rendi nemmeno più conto di essere seduta su una sedia, perchè la tua mente sta talmente vagando tra i pensieri, che ti sembra di volare e di non essere chiusa in quattro mura di una stanza d'ospedale.
Ti ritrovi di fronte con persone che sono li in attesa come te, forse solo per prevenzione.
Poi arriva una signora con i capelli cortissimi e basta che il tuo sguardo si incroci col suo per comprendere il percorso appena terminato per entrambe.
Poi ti soffermi un attimo e ripensi all'ultima tua mammografia-ecografia e visita senologica.
E ti soffermi su come sei uscita con le gambe piegate, con il cervello triturato solo da un pensiero: cancro.
E ti soffermi su tutto quello che hai dovuto gestire e spiegare dopo.
E ti soffermi su tutto quello che hai affrontato dopo.
E ti soffermi sul dolore che ha pervaso la tua casa, la tua famiglia, i tuoi cari.
E ti soffermi sui tuoi figli.
E ti soffermi sull'operazione fatta.
E ti soffermi sui cicli di chemioterapia.
E ti soffermi sulla tua testa pelata.
E ti soffermi sui tuoi nervi saldi.
E ti soffermi sul tuo modo di vedere positivo.

"Signora Percassi?" chiama il medico.

E capisci che non puoi più soffermarti. 
Ora è arrivato il tempo di andare avanti.

Un bacio a tutte.
Laura

mercoledì 21 gennaio 2015

Buon viaggio - saluta Dio per me

E poi arriva anche quel giorno, si il giorno del tuo funerale. 
Dove ti devi scontrare con il dolore di tuo papà, dei tuoi familiari, di noi colleghe.
Dove ad un certo punto ti abbiamo dovuto salutare e da quel momento in poi sei entrata nei nostri ricordi, quelli eterni, in cui le persone vivono per sempre.
E' stata una cerimonia bella, il musicista con la sua chitarra e le sue note ha abbracciato tutte le persone che erano li per te. Ha creato una melodia con cui ci ha accompagnati tutti al tuo ultimo saluto.
Io non credevo di avere la forza di andare sull'altare e soprattutto non credevo che la voce sarebbe uscita, e ancora, non credevo di arrivare sino alla fine per dirti a modo mio ciao.
Ma ce l'ho fatta.
 Ho preso un pò di coraggio, ho fatto finta di essere dentro le mura di casa mia e ho dato voce ai miei pensieri.

"Due vite diverse, colleghe a distanza, storie differenti, un male comune: il cancro.
Quando hai iniziato a non star bene e tra controlli e visite varie è arrivata la diagnosi è stata una botta per tutti, di quelle che fai fatica ad incassare, perché pensi e credi che non possa capitare alle persone che conosci.
Oncologia, chemioterapia, radioterapia, sono parole che si sono aggiunte al tuo vocabolario e noi colleghe con il fiato sospeso attendavamo gli esiti delle tue visite con le dita incrociate, se davano buone notizie.
Poi dopo 5 mesi la parola cancro arriva anche a casa mia e anche al mio dizionario si sono aggiunte parole come oncologia, mastesctomia, chemioterapia, scintigrafia, tac, risonanze e potrei continuare all'infinito in questo dizionario della malattia dove sia io che te siamo state catapultate.
Non ci siamo più viste. Ognuna impegnata a combattere la propria battaglia.
E poi il destino ha voluto che la tua strada prendesse una piega diversa, dove la speranza inizia a perdersi per strada, dove il buio di quel tunnel si infittisce sempre di più, dove tutto perde di senso e di valore.
Abbiamo colleghe meravigliose, che ti hanno seguito, coccolato e accompagnato in questo percorso di dolore e di malattia. Hanno protetto anche me in questi mesi, raccontandomi solo le cose positive che ti succedevano e tralasciando tutte le tue battaglie in cui sei uscita sconfitta.
Avevano capito che quando cadi in questo mondo il pensiero della morte non ti lascia più e ti trovi a fare i conti con la paura, si… la paura di non farcela, la paura che un giorno la morte arrivi e ti porti via con se e ti porti via dalle persone che ami.
Quante volte avrei voluto venire a tenerti la mano, a darti un bacio, per dirti che quella paura era comune a tutte e due, a tutte le persone che fanno i conti con un cancro, a dirti che non eri sola.
Ma non ce l’ho fatta. Perché mi sarei scontrata con il rispetto della tua persona.
Si, perchè io sarei arrivata da te con i miei capelli cortissimi, con la mia operazione fatta da mesi, con i miei cicli di chemioterapia fatti, quando tu ancora stavi combattendo con questo mostro.
Sarei arrivata aggrappata alla speranza di sopravvivere, quella che se cadi in questo mondo non puoi non avere, quando la tua di speranza si stava affievolendo pian piano.
Sarei arrivata con il mio sorriso, quello che non mi ha abbandonato in tutti questi mesi e mi sarei scontrata con il tuo volto, che da mesi quel sorriso non aveva più.
E allora ho deciso di starti vicino a modo mio, pregando questo Dio che ti desse la forza di far fronte a tutto questo. Altro non ho potuto fare.


Ora sappiamo che sei lassù, oltre le nuvole, dove tutto è ovattato, dove parole come malattia e dolore non esistono, dove il cielo è sempre blu e dove il sole ti scalderà il cuore e l'anima.

Tu da lassù ricordati di noi ogni tanto, guarda giù, noi siamo sempre qua e attraverso la memoria e i nostri ricordi ti faremo vivere per sempre."

Ciao Paola

sabato 17 gennaio 2015

Ciao Paola

Due uffici, colleghe a distanza, storie differenti, un male comune: il cancro.
Ci si sentiva solo per telefono, ogni tanto, quando i nostri due lavori si intersecavano.
In questi 14 anni che vivo qui, forse ci siamo trovate a qualche cena "aziendale" per così dire.
Poi inizi a non stare bene e tra controlli e visite arriva l'esito: CANCRO.
Che dire, si pensa sempre che non capiti alle persone che conosci. 
Oncologia, chemioterapia, radioterapia, scintigrafia ossea, tac, risonanze,  sono parole che si sono aggiunte al tuo vocabolario e noi con il fiato sospeso attendavamo gli esiti delle tue visite. Se davano buone notizie.
Poi dopo 5 mesi la parola cancro arriva anche a casa mia e anche il mio dizionario si aggiunge di parole come oncologia, ago aspirato, mastesctomia, chemioterapia, port, pic, scintigrafia ossea, tac, risonanze e potrei continuare all'infinito.
Non ci siamo più viste. Ognuna impegnata a combattere la propria malattia.
E poi il destino ha voluto che la tua strada prendesse una piega diversa, dove la speranza inizia a perdersi per strada, dove il buio di quel tunnel si infittisce sempre di più.
Quante volte avrei voluto venire in ospedale a tenerti la mano, a darti un bacio, a chiederti se c'era qualcosa che ti avrebbe fatto sorridere anche solo per un minuto.
Ma non potevo permettermelo!
Certo, avrei messo a posto la mia coscienza e la mia voglia di starti vicino, ma mi sarei scontrata con il rispetto della tua persona.
Si, perchè io sarei arrivata da te con i miei capelli cortissimi, quando tu ancora eri con il tuo fazzolettino in testa.
Sarei arrivata con la mia operazione fatta ormai da mesi e quindi con il mio tumore levato dalle palle, mentre tu eri ancora con il tuo, nella speranza che si riducesse.
Sarei arrivata con i miei cicli di chemioterapie fatte, quando a te le avevano sospese, perchè non serviva più.
Sarei arrivata con le mie gambe nella tua stanza, quando tu ormai da mesi non camminavi più.
Sarei arrivata aggrappata alla speranza, quella che se cadi in questo mondo non puoi non avere, quanto la tua di speranza si stava affievolendo pian piano.
Sarei arrivata con il mio sorriso, quello che non mi ha abbandonato in tutti questi mesi e mi sarei scontrata con il tuo volto, che da mesi quel sorriso non aveva più.
E allora ho deciso di starti vicino a modo mio, pregando questo Dio che ti desse la forza di far fronte a tutto questo. Altro non ho potuto fare.
Il ricordo che avrò di te sarà la tua pelle di porcellana, i tuoi bei ricci ma soprattutto i tuoi occhioni azzurri, quegli occhioni che da oggi ci proteggeranno dal cielo.

Ciao Paola
Saluta Dio per me.
 

venerdì 16 gennaio 2015

L'uomo dal tutù rosa


A volte l’unica cosa che possiamo fare, per affrontare quello che ci accade, è ridere di noi stessi e condividere queste risate con gli altri”.
Sono le parole del fotografo Bob Carey che, per amore di sua moglie Linda, affetta da un cancro al seno, si è ritratto nei luoghi più disparati del mondo con addosso solo un tutù rosa. Una bella storia d’ispirazione e di amore, che inizia quando Bob decide di indossare i panni di una ballerina per realizzare una campagna fotografica divertente volta a finanziare un balletto in Arizona. Dopo poco, però, a Linda viene diagnostico un cancro al seno e tutto cambia improvvisamente ma non la voglia di reagire. Per superare il dolore calato improvvisamente nelle loro vite, Bob inizia a girare per mezzo mondo, ritraendosi nelle vesti di un’improbabile ballerina e spedendo gli scatti alla moglie, che li mostra alle altre donne ricoverate in ospedale, condividendo con loro un momento di felicità.
Nasce così “The Tutu Project” e l’uomo con il tutù rosa diventa un simbolo della lotta contro il tumore al seno. Con la messa online del sito, il fenomeno diventa, da subito, virale e ne scaturisce il libro fotografico “Ballerina”, una raccolta di 61 immagini che raccontano il surreale viaggio di Bob. Il ricavato delle vendite del libro è destinato alle associazioni che operano a sostegno delle donne malate di cancro al seno.

Oltre al suo valore sociale, il progetto fotografico di Bob Carey ha anche un peculiare valore artistico, tutt’altro che trascurabile. Il goffo uomo in tutù rosa, che catalizza la nostra attenzione in queste immagini, è una sorta di stravagante “intruso” che si aggira, un po’ per caso, in luoghi naturalistici sconfinati – aree desertiche, vaste distese d’erba, ampie spiagge – o in più semplici ambienti urbani, come una metropolitana o una qualunque strada di una città americana. In sé figura grottesca e ridicola, questo personaggio, però, non sembra contrastare in modo stridente con il contesto in cui è inserito ma appare in armonia con esso, senza destabilizzare la visione d’insieme. L’immagine, nella sua totalità, pur facendo nascere un sorriso spontaneo, conserva un senso di misteriosa solennità. Il ridicolo protagonista di queste foto crea, nell’osservatore, uno stato di spiazzamento che lo induce a fare un passo più in là, per andare oltre il senso del “bello” comunemente inteso e afferrare la bellezza dell’imperfezione, del “fuori luogo”, di quella nota stonata che, nella vita, ci fa sembrare tutto più armonico e più vero, proprio perché non perfetto.
La tecnica che Bob utilizza per realizzare queste foto è l’autoscatto e non si tratta di una scelta casuale. Come spiega bene il critico Giorgio Bonomi ne “Il corpo solitario. L’autoscatto nella fotografia contemporanea”, questa forma di espressione non è solo tecnica ma vera e propria poetica. L’autoscatto permette all’artista di unificare soggetto ed oggetto senza mediazioni. L’autore si trova “solo” e carico di una responsabilità, etica ed estetica, maggiore e con una dose assai più ampia di rischio. Nella specifica esperienza di Bob, il dato più rilevante è l’intimità della storia che ha dato luogo a queste fotografie: la sovrapposizione tra vita e arte è qui totale e l’autoscatto diventa l’unico mezzo possibile per tradurre tale intimità in immagini.
Ci sono due ricorrenze, in queste foto, che non passano inosservate: l’uomo in tutù è sempre solo e raramente ci mostra il suo volto. Entrambi questi elementi contribuiscono a dare un tocco di surrealtà alle immagini e fanno sì che il “nostro” soggetto fotografico diventi più metafora che uomo, più simbolo che persona reale. Pur utilizzando la tecnica dell’autoscatto – di per sé gesto narcisistico – l’autore non vuole dare adito a sentimenti di rispecchiamento emotivo. Bob, come uomo e come artista, si mette in gioco in prima persona ma non si svela. Il privato resta privato, l’intimità dei suoi sentimenti non è materia di condivisione; ciò che l’artista mette in condivisione è un gesto artistico simbolico, spiazzante, provocatorio, capace di innescare una catena di sorrisi, di stati positivi  e di riflessioni.
credits: buonenotizie.it


















Per saperne di più, questo il sito: http://thetutuproject.com 


Io però vorrei lasciarvi con una foto di Bob e Linda... che sia di esempio per tutte noi.

MAI PERDERE IL SORRISO! MAI! 
NEMMENO UN CANCRO DEVE AVERE QUESTO POTERE!


Un bacio a tutte

Laura


lunedì 12 gennaio 2015

Un frontale con la realtà

Oggi voglio raccontarvi un episodio che mi è capitato ed il pensiero che ha fatto da contorno.

Stavo percorrendo la strada di ritorno a casa, dopo un pomeriggio a fare la spesa, quando lungo un rettilineo, una macchina sorpassa e me la ritrovo proprio davanti al muso, e per un nonnulla riesce a rientrare nella sua corsia di marcia. (ndr: la mamma degli ignoranti è sempre incinta!!!).
Dopo un attimo di sussulto, riprendo fiato e continuo a stenti sulla mia strada, con il piede ormai da qualche secondo staccato dal pedale dell'acceleratore.
Da poco avevo saputo del mio cancro e dell'imminente operazione che mi aspettava e, per un attimo me ne ero dimenticata.
Ho pensato all'ipotesi in cui la macchina mi avesse preso, se avessi fatto davvero un frontale e se davvero fossi morta.
Avrebbero chiamato a casa mio marito, la mia famiglia, i miei amici e sarebbe stato detto loro che "purtroppo sua moglie/figlia/sorella/amica è morta!"
 In questo caso non avrei avuto la possibilità di combattere. 
La morte sarebbe venuta a prendermi senza scuse.
Sono drammatica? Potrei avere pensieri più positivi? Certo che si...  
Ecco perchè in quel preciso istante ho pensato che avere un cancro è davvero una tragedia, non bussa alla porta, non chiede permesso, ma ti dà una grande possibilità: COMBATTERE!
E allora non sprechiamo questa possibilità, è l'unica che ci resta.

"Capisci quanto sei forte, 
quando essere forte è l'unica scelta che hai"

Un bacio a tutte.

Laura


lunedì 5 gennaio 2015

I tremori dell'anima

A volte senti una stretta al cuore. 
Può capitare anche solo perchè stai giocando con i tuoi figli sul divano e ti soffermi sul loro sorriso.
Può capitare perchè ricevi una brutta notizia: magari qualcun altro è caduto in questo mondo, o peggio ancora, lo ha appena lasciato.
Può capitare quando trascorri un pomeriggio con le tue amiche condito di chiacchiere e caffè.
Può capitare quando sei a cena con tuo marito.
Può capitare quando passi un pò di tempo con tua mamma, tuo papà, tua sorella.
Si, il cancro cambia anche questi frammenti di vita, li rende unici, sia quelli positivi che negativi.
Tutto viene vissuto ad un livello elevato.
Non scappa via più niente, nemmeno una sfumatura, una virgola, un'ombra.
Niente.
Ormai la percezione delle cose sembra epidermica. Tutto ti tocca, tutto si ferma dentro di te.
Io li chiamo tremori dell'anima.

Un bacio a tutte.
Laura