domenica 24 settembre 2017

Il grido della farfalla

"Non è l'undici settembre, non hanno appena sganciato un'altra atomica su Hiroshima, ma il mio piccolo mondo sta svanendo ora, alle sedici e ventiquattro minuti del diciannove giugno. Perchè è chiaro che perderò il lavoro. E' chiaro che qualche cosa in me, di indefinito, non va bene. E' chiaro che la profezia di Elle sulla possibilità che ci sia bisogno di più di un intervento sia concreta. Non ne parleranno i giornali domani. Non ci sarà nessun comunicato stampa, ma tutto ciò che ho costruito sta crollando, adesso, senza che nessun sismografo rilevi alcuna scossa".

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"A. ha cercato di nascondersi. Di sfuggire a quello che stavo dicendo, aggrappandosi ad una sedia, scuotendola, guardandosi attorno. Non c'era nessuno che l'avrebbe potuta salvare. Nessuno a sentire le urla d'aiuto. Uno due tre stella e la paura va via. Anna ha cercato di riemergere respirando mentre il pianto cercava di farla affondare di nuovo. Un due tre stella e la paura va via....
Io non ho trovato una sola parola da dire mentre ci abbracciavamo, mentre le nostre lacrime scivolavano mescolandosi. Sotto i miei piedi sentivo la sabbia che si trasformava in limo e lentamente noi due abbiamo iniziato a sprofondare" 

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"Non c'è cura. Uno alla volta perderemo l'innocenza. Finiremo con il non stupirci più. Con il ritenere che se una farfalla vola è perchè ha le ali e non per qualche cosa di magico e di incomprensibile. Uno alla volta risponderemo alle nostre domande in maniera logica dimenticando la fantasia, dimenticando la bellezza della follia, scompariranno i maghi. Si estingueranno i draghi e improvvisamente nelle pianure sterminate dei nostri pensieri non galopperanno più cavalieri e non ci saranno castelli e non saliremo a bordo di nessuna navicella spaziale. Non è la leucemia. Non è il mio tumore. Non è un infarto o chissà quale altra cosa che porterà alla totale sparizione della razza umana. E' la perdita di tutto ciò che siamo solo per una breve fase della nostra vita quando invece dovremmo fare di tutto per difenderla e per prolungarla sino all'ultimo dei nostri giorni".

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"Ho pensato ai miei figli. Perché se dovesse andare male qualche cosa, se quello che ho visto sull'espressione di L.S. si dovesse concretizzare allora chi li aiuterà a crescere? Chi li accompagnerà a scuola ogni mattina? Chi gli racconterà una storia e chi si alzerà in piedi sulle scalinate del piccolo campo sportivo parrocchiale per ogni tocco di palla, giusto o tremendamente sbagliato, gridando che va bene così, che nessuno nasce campione e che la cosa importante è mettercela sempre tutta.
Mi sono sciacquato il viso cercando di cancellare via i segni della paura".

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"Perchè siamo così diversi noi?" Robin non ha ancora posizionato sulle lenzuola i suoi pupazzi. Non c'é nessuna missione spaziale in procinto di partire oggi.
"Diversi da chi? Io ho due occhi e due braccia e due gambe, proprio come te. L'unica differenza è che sono troppo più simpatico di tutti gli altri". Robin mi ha fissato. Ha cercato di fare un sorriso senza riuscirci.
"Diversi da tutti. Abbiamo tubi che ci escono dal corpo. La pelle bianchissima. Siamo senza capelli. Noi non siamo come gli altri":
"E se fossimo migliori? E se fosse che proveniamo davvero da un altro pianeta e che stiamo facendo fatica ad adattarci al nuovo habitat. Potrebbe essere una risposta soddisfacente per te?" Robin ha respiri affannosi. L'addome gonfio. Gli occhi cerchiati di giallo. Io non devo fare diagnosi. Io sono solo un terapista.
"Non siamo i migliori Michele. Se lo fossimo non soffriremmo".

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"Io diventerò un fantasmino. Come Casper. E starò sempre vicino alla mamma. E se lei non dovesse sentire la mia voce tu gli dirai che sono lì? Lo farai Michele o ti dimenticherai anche questa volta? Tu sei un Nékul. Un senza memoria".
Ho abbassato la testa. Ho finto di dover cercare qualche cosa sul pavimento. Ho preso le lacrime per le redini tirando forte per impedire che si alzasserro imbizzarrite.

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"Elisa ha perso tempo. Viviamo di apnee continue. La chemio ti toglie il fiato. E' subdola. Colpisce ai fianche anche dopo il suono del gong. Non c'è un solo istante dove arretri, dove si comporti con un minimo di correttezza. Avanza a testa bassa e scarica colpi sotto la cintura facendoti piegare in due.
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Ho il cancro Michele. Mi hanno tolto il seno. Venerdì mi asporteranno l'utero. Un pezzo alla volta e di me non resterà nulla. E non resterà niente".

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"Se muore uno dei tuoi genitori sai che cosa diventi? Un orfano. E se perdi il marito allora sarai vedova. Ma non c'é nessuna parola per descrivere che cosa diventi se perdi un figlio. In nessuna lingua esiste. Perché è un dolore talmente grande che nessuno al mondo lo può chiudere in una delle stupide parole che c'è nel tuo libro". Don Angelo è uscito dalla stanza.

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Ho voluto iniziare così, da righe di parole sottolineate con la matita, parole che mi sono entrate dritte al cuore.
E' un libro che inizia col raccontare la vita di una persona normale, di una famiglia normale, alle prese con il lavoro, con gli impegni dei figli, con il tempo ritagliato per le vacanze. 
Poi il racconto diventa lento e affannoso, come solo i giorni in ospedale sanno esserlo: tutto si dilata, vedi il sole sorgere e quando lo vedi tramontare ti sembra assurdo che possa essere lo stesso giorno.
E poi quei volti, la gente che si conosce nei corridoi, alla macchinetta del caffè, il vicino di letto.
Tutte persone che sono appese ad una speranza che a volte lascia il posto purtroppo a ben altro.
E Michele vive tutto questo in un momento assurdo in cui anche la sua vita comincia a nutrirsi della stessa speranza e della stessa apnea che ha visto in quelle facce.

Il libro è un libro autobiografico.
L'autore è Villiam Antonio Amighetti.
Scrittore e giornalista.

Come ha fatto ad arrivare sino a me? Qualcuno può pensare per il fatto che vive in un paese vicino al mio paese d'origine.
Invece è stata una casualità. 
Ha letto della presentazione del mio libro a Clusone e dopo avermi conosciuto di persona, mi sono ritrovata con un articolo scritto proprio da lui su "Valseriana news" (qui).

In uno dei messaggi mandati all'epoca, in occasione della presentazione del libro, ce n'è stato uno che mi ha particolarmente colpito.

"Mi è stato diagnosticato un melanoma al IV stadio due anni fa. Metastasi diffuse... tre interventi ravvicinati... un sacco di problemi, percentuale di sopravvivenza bassa. 
Ma io sono un testardo e non mi andava proprio di morire così...
Quindi sono ancora vivo e assaporo la vita ogni giorno"  

Credo di aver detto anche troppo.... 
Vi manca solo prendere questo libro e tuffarvi nella vita di qualcun altro, con la consapevolezza che purtroppo non è una favola.

Ancora una cosa.

"Perché ciò che il bruco chiama la fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla".

Grazie per avermi fatto sentire una privilegiata per essere ancora viva. 

Un abbraccio. 
Laura


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